“Se la gente sapesse quanto ho lavorato duramente per raggiungere la mia maestria, la mia arte non sembrerebbe per nulla così meravigliosa” (Michelangelo).
Per nulla modesto direi.
Ma faceva bene ad essere così: non bisogna essere mai modesti.
Bisogna essere umili, non modesti. C’è molta differenza, seppure la semantica sia sottile.
Michelangelo scolpiva e dipingeva in maniera sublime, questo è pacifico.
Tuttavia, per arrivare ai livelli della toccante scultura de la “Pietà”, o della sorprendente realizzazione pittorica de “La Cappella Sistina”, nonché del magistrale “Tondo Doni”, che, come evidenziava il Vasari, “certamente delle sue pitture in tavola, ancora che poche siano, è tenuta la piú finita e la piú bella che si
truovi” il talento incredibile di cui era dotato non poteva bastare.
La dote del maestro era accompagnata dalla passione, dal desiderio di aspirazione, da un lavoro indomito, dall’incessante ricerca del completamento stilistico: Konchalovskiy, nel film “Il peccato”, esalta l’ingegno dell’artista, dal temperamento scontroso, folle e geniale, che non sarebbe mai stato di tale
caratura se questi non si fosse “sporcato continuamente le mani nel marmo”, metafora tangibile della costanza e della resistenza allo sforzo stremante che lo contraddistinguevano ma che devono essere il paradigma di ogni intelletto umano che si vuole e che si deve applicare per realizzarsi appieno nella propria opera preferita e dar spazio alle proprie attitudini.
Sempre il Vasari elogiava un altro artista di valore supremo, Tiziano Vecellio. A mio parere, una delle più celebri rappresentazioni del genio umano dedito al dipinto e al colore è espressa magnificamente nella incantevole “Venere di Urbino” ritratta nel 1538. La sensualità, l’erotismo e la femminilità incarnata dalla meravigliosa donna nuda dipinta dall’artista veneto è un concentrato di valori, di fedeltà, di bellezza e di ammiccamento più unici che rari. “E questo modo sì fatto è giudizioso, bello e stupendo, perché fa parere vive le pitture e fatte con grande arte, nascondendo le fatiche”.
La fatica deve essere sempre premiata, specie se conduce a risultati eccellenti: e così i grandi artisti venivano “sponsorizzati” prima all’interno delle corporazioni di arti e mestieri, poi dai mecenati, poi ancora dai galleristi, e quindi dagli intellettuali nonché, oggi più che mai, dai direttori dei Musei. Gli imprenditori dell’arte sono coloro che rendono possibile lo sviluppo del mercato che attualmente dà un premio notevole all’immateriale: l’eredità culturale italiana è impareggiabile in ogni sua forma e, indubitabilmente, deve rappresentare l’opportunità e la risorsa maggiore per alimentare non solo il gusto raffinato di critici e appassionati, ma proprio la stessa attività d’impresa, il processo economico, ed infine, quale naturale conseguenza, il benessere cui aspiriamo.
Proprio qualche giorno fa ho potuto toccare con mano tutto l’esempio lampante di quello che sostengo: sulle testate giornalistiche maggiori è balzata ai miei occhi la notizia esaltante della riapertura al pubblico degli “Uffizi” con il pronto allestimento di ben 129 nuove opere d’arte in 14 stanze dedicate al nuovo percorso sul Cinquecento fiorentino ed emiliano, oltre a quello romano e veneziano, tra cui infine una sala dedicata ad autoritratti: vi sono esposte delle incomparabili meraviglie che vanno dalle opere del Rosso Fiorentino, del Braghettone, del Granacci, del Pontormo, del Correggio e del Parmigianino (penso alla ricollocazione del virtuoso dipinto “la Madonna dal Collo Lungo”), accanto ai quei capolavori universalmente riconosciuti già presenti nella Galleria e che lasciano ogni volta estasiati, a tal punto che non sarò mai appagato di ammirarli anche più ore, di godermi tutti gli effetti di tale insuperabile bellezza, trovando poi diletto con un gustoso panino col lampredotto d’autore abbinato ad un Chianti classico in una taverna del centro della città gigliata.
Se quindi è stato trionfale l’approntamento della nuova collezione d’arte promossa dall’encomiabile staff direzionale del più importante gioiello museale fiorentino, frutto di uno studio ricercato, dell’impegno profuso e dell’incontro azzeccatissimo tra opera di marketing e attività di promozione al pubblico di un nuovo materiale immateriale inestimabile, così si può evidenziare come l’incontro tra la cultura e l’impresa non solo venga reso possibile dall’immortalità del genio artistico, ma anche e soprattutto dalla confermata circostanza per cui dalla valorizzazione del talento si arriva al risultato sperato, che è eccelso.
Avv. Ludovico Santarelli
Ho 42 anni, sono nato a Padova l’11 novembre del 1978, figlio unico di due genitori meravigliosi, di madre padovana, professoressa di lettere, e padre di origine umbra, ufficiale dell’esercito, trasferito qui in Veneto per motivi di servizio militare. A tal proposito, è evidente che star qui gli è piaciuto non solo per l’amore per la propria donna ma anche per l’attaccamento alla realtà locale che lo ha fatto stabilizzare proprio qui nella città del Santo.
Nel corso della mia crescita, ho frequentato le scuole elementari e medie del centro della mia città, ed in particolare con orgoglio ricordo i bellissimi anni del mitico Ginnasio Liceo Tito Livio, quello che io ho sempre definito il tempio della cultura per le “sudate carte” dei testi di letteratura italiana, di latino e greco che ancora ricordo dopo tanti anni di studio diventando a suo tempo talvolta sul serio “matto e disperatissimo”, ma che diedero le fondamenta ed il via per approcciarmi al complesso e affascinante mondo del diritto permettendomi di inseguire i miei sogni, ossia di frequentare prima il prestigioso Ateneo patavino ed arrivare poi a conseguire il titolo di avvocato di questo importante Foro italiano. Dal 2012 lavoro in proprio e sono titolare di uno Studio Legale sito nella mia splendida città; nutro la passione per il diritto penale, materia in cui peraltro mi sono specializzato, sia in ambito giudiziale che stragiudiziale. Per aspera ad astra, scrivevano e dicevano i più grandi scrittori, poeti ed oratori classici. Ed è per questo che amo il mio lavoro ed è ciò che sono convinto ogni giorno di fare, con determinazione nonostante le tante difficoltà che si frappongono alla nostra attività. Ma sono veramente attratto da questo coraggioso “mestiere” rappresentativo di un’arte, quella dell’eloquenza, bellissima, emozionante. Mi muovo spesso per motivi professionali, e ho avuto modo di poter conoscere e frequentare i palazzi di Giustizia della nostra Regione, oltre che di altre sedi italiane. Coltivo oggi anche un fervido interesse per il diritto sportivo calcistico, con l’obiettivo di diventare un esperto procuratore sportivo. Sono anche un cinefilo e, avendo la fortuna di veder celebrata sul lungomare del Lido di Venezia l’amata Mostra del Cinema non perdo mai occasione per andare a fare un salto e dedicarmi alla visione delle pellicole d’essai. Ho infine l’hobby del teatro e per questo ho frequentato diversi corsi e acquisito competenza nell’ambito della comunicazione e della persuasione, utile ed opportuna anche nel mio lavoro. Peraltro, mi piace molto scrivere oltre che parlare, non solo nelle aule giudiziarie, ma anche in contesti culturali, qual è questo per cui ho deciso di espormi, desideroso di entrare a far parte di questa nuova esperienza e di offrire un po’ del mio bagaglio, tant’è che mi entusiasma molto l’idea di realizzare un contributo scritto per “Vetrine Venete”, proprio per valorizzare quella che è la realtà culturale e professionale del nostro incantevole territorio. A presto, con un abbraccio!