Confesso di essere una persona molto curiosa.
Da sempre desideroso di conoscenza, amo studiare, leggo tantissimo per lavoro e per diletto, e mi coinvolgono molto anche i classici della letteratura: tra di essi sono un profondo appassionato ed estimatore della lectio Dantis, tant’è che proprio il 25 marzo prossimo venturo viene celebrato il Dantedì, la Giornata nazionale dedicata a Dante, quando si pensa sia iniziato il suo viaggio ultramondano, così come quest’anno ricorre il settecentenario della sua morte.
Mi viene in mente, rimembrando la lettura dell’opera omnia dell’Alighieri, uno degli episodi più belli, più intensi, più poetici e densi della Divina Commedia, espresso nel Canto dove il Sommo Poeta ci parla della curiositas: è senz’altro il Canto XXVI dell’Inferno dove protagonista è Ulisse, l’eroe senza tempo, il genio drammatico, colui che tra i comuni mortali suscita continuamente ammirazione e senso di azzardo, in un viaggio senza fine, un fascino antico e moderno, eccelso per l’ingegno particolarmente elevato ed acuto, unico e distinto rispetto agli altri personaggi del mito per la incredibile forza non nell’uso delle armi, ma dell’intelligenza nonché della persuasione.
È impossibile non restare ammaliati da questa figura, soprattutto per quello che trasmette anche ai posteri.
Il celebre Canto di Ulisse e il personaggio omerico mettono in luce uno dei significati più profondi del viaggio dantesco: la ricerca ardita della conoscenza e quindi il segno della “nobiltà” dell’uomo che lo eleva dallo stato primitivo e naturale.
Il messaggio è questo: “Considerate la vostra semenza, fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza.”, ed il cammino compiuto dal poeta ci eleva, ci riporta alla vita vera, così sperimentando la voglia di sapere e stimolandoci nella lettura dei versi alla ricerca di quei valori che Dante stesso aveva perso di vista tra le tenebre della selva oscura; tant’è che ci svela come combattere la superbia e il disprezzo: ed allora è l’umiltà, invocata da Dante, ad aprirci il cammino che ci porterà a “riveder le stelle”.
Il “folle volo” rappresenta sicuramente uno dei passaggi più celebri di questo Canto: il piano di Ulisse è “folle”, oltre i limiti del senso, perché è un azzardo, in cui però non viene mai persa di vista la lucidità e la luce agognata del conoscere cui mira, dimostrandone egli stesso, come Dante, piena consapevolezza ma
anche senso di sfida: egli, politropo, percepisce la precarietà del suo viaggio e, in piena coscienza di ciò, decide comunque di andare avanti, pur sapendo di correre un rischio estremo, perché Dio ha riservato solo a sé la sete dell’infinito.
Di questo Dante ne fa la differenza, anche se si sente fondamentalmente come lui.
Perciò Ulisse, superbo e oltraggioso, è dannato a rimanere nell’Inferno, mentre Dante no perché ha la fede ed il rispetto per ciò che non conosce ancora e che è incomparabile: ma come Ulisse è l’esule mai domo e mai sazio nella ricerca del sapere e nell’affrontare prove anche ai limiti dell’umana facoltà.
Ulisse ci dà l’idea di aver smarrito completamente la via perché ha imboccato la strada del peccato e dell’insolenza, dalla quale non è possibile uscire, se non con una grande forza di volontà da parte dell’uomo imperfetto, quella che Dante cerca in tutti modi, riuscendoci, lui sì, arrivando umilmente alla fine a soddisfare il suo “disio e ’l velle, sì come rota ch’igualmente è mossa, l’amor che move il sole e l’altre stelle”.
Ulisse, tuttavia, deve essere salvato nella sua chiave di lettura migliore, perché inconfutabilmente infonde il coraggio, la voglia e il desiderio di osare, di andare oltre i limiti e di essere sempre noi stessi senza mai farsi condizionare dalle opinioni limitanti degli altri.
Illuminante.
Splendido.
Immenso.
Avv. Ludovico Santarelli